domenica 27 dicembre 2009
IL TEMPO INVECCHIA IN FRETTA - Antonio Tabucchi
mercoledì 25 novembre 2009
No te salves - Mario Benedetti
al borde del camino
no congeles el júbilo
no quieras con desgana
no te salves ahora
ni nunca
no te salves
no te llenes de calma
no reserves del mundo
sólo un rincón tranquilo
no dejes caer los párpados
pesados como juicios
no te quedes sin labios
no te duermas sin sueño
no te pienses sin sangre
no te juzgues sin tiempo
pero si
pese a todo
no puedes evitarlo
y congelas el júbilo
y quieres con desgana
y te salvas ahora
y te llenas de calma
y reservas del mundo
sólo un rincón tranquilo
y dejas caer los párpados
pesados como juicios
y te secas sin labios
y te duermes sin sueño
y te piensas sin sangre
y te juzgas sin tiempo
y te quedas inmóvil
al borde del camino
y te salvas
entonces
no te quedes conmigo.
sabato 24 ottobre 2009
domenica 6 settembre 2009
mercoledì 19 agosto 2009
Fernanda Pivano
Ah, la vecchiaia. Gli anni che pesano. Le parole cariche di amara rassegnazione di Guido Ceronetti, alle quali ha risposto con affettuoso ottimismo Arrigo Levi, mi hanno costretto a pensare, ancora una volta, alla mia di vecchiaia. A interrogarmi. E a scavare un po' nella memoria.
Fernanda Pivano con Alice B. Toklas |
Fernanda Pivano con Allen Ginsberg |
Ma se penso ad Henry Miller, penso che anche un genio come lui se n' è andato troppo presto. E di anni ne aveva 88. Non ho mai voluto accettare le malattie dell' età e ne ho le scatole piene di dover prendere tutte queste pastiglie che i medici mi prescrivono. Ho sempre cercato di vivere di passioni e tutto questo mi riporta solo alla disperazione dei miei 92 anni, con le vene che non reggono la pressione di una semplice iniezione. Ma grazie a Dio ci sono questi ragazzi di 18 anni che mi mandano le loro poesie, i loro racconti, i loro auguri e mi chiedono suggerimenti su come fare a superare le tragedie della vita. Ahimè. A 92 anni ancora non so cosa rispondere. Dico loro di sperare. Di battersi per vivere in un mondo senza guerre volute solo da capitani ansiosi di medaglie. Di sorridere senza il rimorso di non aver aiutato nessuno. E proprio questi giovani sono una grande, meravigliosa, consolazione. Il segno che qualcosa di ciò che hai fatto ha lasciato un piccolo segno, un piccolo seme.
Posso confidarvi che l' ultima volta che ho incontrato Gore Vidal per la presentazione di un suo libro, nel gennaio 2007, io ero appena uscita da un ricovero in ospedale e lui camminava aiutandosi con un bastone. Ma a cena, quando gli ho chiesto cosa potremmo fare insieme, lui mi ha risposto: «Let' s make a baby - facciamo un bambino». Forse è questo il segreto per riuscire a sopravvivere anche a questa età. Forse è questo il segreto del vecchio Suonatore Jones delloSpoon River caro alla mia giovinezza «che giocò con la vita per tutti i novant'anni»
Fernanda Pivano
Corriere della sera - 18 agosto 2009
martedì 18 agosto 2009
LACRIME D'INVIDIA di Massimo Gramellini
domenica 16 agosto 2009
"La salute dell'ambiente" di Giovanni Sartori
Passa un Ferragosto, passa l’altro, torno sempre al tema dell’ambiente e del clima. Chi la dura la vince, dice il proverbio. Speriamo che sia vero.
Che tempo fa? Che tempo farà? E’ quel che ogni giorno vien spiegato e previsto dai meteorologi. Qual è il clima, e cosa succede del clima, è invece una domanda del tutto diversa che verte, nel lungo periodo, sulle condizioni di siccità, calore, inquinamento e vivibilità del nostro pianeta. Eppure moltissime persone confondono le due cose. L’anno scorso — dicono — ha piovuto poco e ha fatto molto caldo; ma quest’anno ha piovuto molto e siamo stati bene. Dunque — concludono — quelle dei climatologi sono balle. E se la pensa così anche un bravo giornalista come Pietro Calabrese, mi tocca di rispiegare tutto daccapo.
L’indicatore più ovvio del riscaldamento climatico è che i ghiacciai si stanno sciogliendo, con una velocità imprevista, dappertutto: in Asia, Africa, Europa, sulle Ande, ai Poli. Abbiamo poi misure precise della quantità crescente di anidride carbonica e di altri gas serra nell’atmosfera. Pertanto la disputa non è più sul riscaldamento del clima terrestre — il fatto è indubbio —ma sulle sue cause.
Chi dubita che la causa prima, primaria, «siamo noi», ricorda che i cicli di riscaldamento e di raffreddamento della Terra sono sempre avvenuti, e quindi che possono soltanto dipendere da cause astronomiche. Sì, ma nel ciclo che stiamo vivendo sono entrate due nuove variabili: la società industriale, che è fortemente inquinante, e un gigantesco «salto» in popolazione. E l’entrata in gioco di questi due nuovi fattori inficia le analogie con il passato. Tantovero che la stragrande maggioranza degli studiosi ritiene che il riscaldamento in corso non appartiene alla naturale variabilità del clima.
Beninteso la scienza non è mai unanime. C’è ancora chi nega, per esempio, che il virus dell’Hiv sia la causa dell’Aids. Inoltre, e soprattutto, il problema del clima e dell’ambiente è davvero un macro- problema, tanto grande e complesso da non consentirci di stabilire chi sia un competente e chi no, chi abbia davvero voce in capitolo e chi no. Ma non c’è dubbio che la scienza nel suo complesso punti il dito su un malfare e strafare dell’uomo, su cause «antropiche». Ciò posto, a che punto siamo?
La buona notizia è che ci siamo liberati del «texano tossico», del nefasto ex presidente Bush, e che il suo successore Obama ha già fatto approvare dal Congresso una severa legge anti-inquinamento che prevede una riduzione dei gas serra dell’83% entro il 2050. E l’America è un Paese che quando si mobilita, si mobilita sul serio. Anche l’Unione europea si è convinta, e propone la formula del 20-20-20 (meno 20% di emissioni di anidride carbonica, più 20% di efficienza energetica, più 20% da fonti di energia rinnovabili). Ma Berlusconi è come Bush, Berlusconi non ci sta. Combatte persino le esigue (e insufficientissime) riduzioni imposte dal protocollo di Kyoto; e a dicembre ha brutalmente dichiarato a Bruxelles: «Trovo assurdo parlare di emissioni quando è in atto una crisi». Sì, ma no. Perché una catastrofe ecologica sarebbe mille volte più grave della crisi in atto.
Giovanni Sartori
Corriere della sera - 15 agosto 2009
domenica 2 agosto 2009
venerdì 31 luglio 2009
sabato 11 luglio 2009
martedì 30 giugno 2009
mercoledì 24 giugno 2009
Quelle pagelle ai professori: l’ennesima umiliazione
IL COMMENTO
Tabelloni con i voti ai professori accanto a quelli con le valutazioni degli alunni. Succede al Berchet, lo storico liceo del centro milanese e il preside sembra soddisfatto dell’iniziativa. Forse sarà sembrato un gesto democratico permettere agli studenti di giudicare pubblicamente i loro insegnanti, forse sarà sembrato liberatorio, innovativo. Premesso che valutare la preparazione dei professori è probabilmente più che giusto, meglio però sarebbe da parte di una apposita commissione che non in modo così brutale e populistico, per mano degli alunni.
Non basta che i professori siano notoriamente sottopagati oltre che, fin troppo spesso, svillaneggiati quando non minacciati o anche aggrediti dai genitori dei loro studenti? Non basta che siano ormai ridotti nell’immaginario comune a impiegati senza più status né autorità? Bisognava anche umiliarli con questa specie di gogna pubblica, un tabellone agli occhi di tutti che — è facile immaginarlo — riporterà soprattutto le vendette degli alunni? Cinque al prof che mi ha dato cinque, quattro a quello che mi ha rimproverato davanti a tutti, secondo una barbara legge del taglione? Oppure otto a quello che non interroga mai di lunedì e nove a quello che lascia copiare durante i compiti in classe, secondo una regola altrettanto incivile? Con questo non si vuole per principio mettere in dubbio l’equità di giudizio degli studenti, ma solo suggerire quanto sia facile e comprensibile la tentazione di punire chi ha punito e di premiare chi ha premiato chiudendo un occhio.
Ma c’è anche dell’altro. Quale accordo, quale armonia ci potrà essere in un corpo insegnanti dilaniato da una simile spiacevolissima votazione pubblica? E dove andranno a finire la fiducia e la solidarietà tra preside e professori così necessarie per il buon funzionamento di un istituto scolastico se il primo permette che i secondi vengano dati in pasto alla platea giudicante degli studenti? Poveri prof, verrebbe da dire, ci mancava anche questa: orecchie d’asino sulla testa e la scritta «ciuco» appiccicata sulla schiena.
lunedì 8 giugno 2009
VOI ONORATE UN VITELLO D'ORO!
Lettera aperta al cardinale Bagnasco
Egregio sig. Cardinale,
In attesa di un suo riscontro porgo distinti saluti.
Genova 31 maggio 2009
Paolo Farinella, prete
giovedì 4 giugno 2009
venerdì 15 maggio 2009
Macondo - parte seconda
[…] tanto più appassionata si andava facendo l'indignazione di Fernanda, finché le sue proteste occasionali, i suoi sfoghi poco frequenti, traboccarono in un torrente incontenibile, sfrenato, che cominciò un mattino cime il monotono bordone di una chitarra, e che a mano a mano che si svolgeva la giornata andò salendo di tono, sempre più ricco, più grandioso. Aureliano Secondo non si accorse della cantilena fino al giorno seguente, dopo colazione, quando si sentì stordito da un ronzare allora più fluido e alto del rumore della pioggia, ed era Fernanda che girava per tutta la casa lamentandosi che l'avevano educata come una regina per finire da serva in una casa di pazzi, con un marito fannullone, idolatra, libertino, che stava a pancia all'aria ad aspettare che gli piovesse la manna dal cielo, mentre lei si stroncava le reni cercando di tenere a galla una casa tenuta su con gli spilli, dove c'era tanto da fare, tanto da sopportare e da rabberciare, da quando spuntava Dio fino all'ora di mettersi a letto, che finiva per coricarsi con gli occhi pieni di polvere di vetro e, tuttavia, mai nessuno che le dicesse buon giorno, Fernanda, come hai dormito, Fernanda, né le chiedevano mai anche solo per cortesia perché era così pallida e perché si svegliava con quegli occhi pesti, anche se lei non sperava, naturalmente, che qualcosa di simile saltasse fuori dal resto di una famiglia che in fondo l'aveva sempre considerata come un impiccio, come lo straccetto per sollevare la pentola, come un pupazzo scarabocchiato sul muro, e che andavano sempre spettegolando contro di lei negli angoli, chiamandola bigottona, chiamandola farisea, chiamandola volpe, e perfino Amaranta, requiescat in pace, aveva detto chiaro e tondo che era di quelle che scambiavano il sesso maschile con l'equinozio, benedetto Dio, che parole, e lei aveva sopportato tutto con rassegnazione per le intenzioni del Santo Padre, ma non aveva potuto più resistere quando quel malvagio di José Arcadio Secondo aveva detto che la rovina della famiglia era stata quella di aprire la porta a una spocchiosa, immaginarsi un po', a una spocchiosa prepotente, Dio mi aiuti, una spocchiosa figlia di mala saliva, della stessa indole degli spocchiosi che aveva mandato il governo a uccidere i lavoratori, ditemi un po', e si riferiva niente di meno che a lei, la figlioccia del Duca di Alba, una dama di tale prosapia da far rivoltare il fegato alle mogli dei presidenti, una idalga di sangue come lei che aveva il diritto di firmare con dodici spagnolissimi cognomi, e che era l'unica mortale in quel villaggio di bastardi che non si sentiva impacciata davanti a sedici posate, perché poi quell'adultero di suo marito saltasse fuori a dire sghignazzando che tanti cucchiai e forchette, e tanti coltelli e cucchiai non erano roba da cristiani, ma da centopiedi, e l'unica che poteva stabilire a occhi chiusi quando si serviva il vino bianco, e da che parte e in quale bicchiere, e quando si serviva il vino rosso, e da che parte e in quale bicchiere, e non come quella selvatica di Amaranta, requiescat in pace, che credeva che il vino bianco si servisse di giorno e il vino rosso di sera, e l'unica in tutta la costa che poteva vantarsi di non essere mai andata di corpo se non in pitali d'oro, perché poi il colonnello Aureliano Buendia, requiescat in pace, avesse la sfacciataggine di chiedere con il suo fiele di massone perché mai si era meritata quel privilegio, se era forse perché lei non cagava merda, ma fiordalisi, immaginarsi, che parole, e perchè poi Renata, sua stessa figlia, che indiscretamente aveva visto le sue deiezioni nella stanza da letto, rispondesse che in realtà il pitale era d'oro puro e di pura araldica, ma quello che c'era dentro era pura merda, merda fisica, e ancor peggio delle altre perché era merda di spocchiosa, immaginarsi, la sua stessa figlia, di modo che non si era mai fatte illusioni sul resto della famiglia, ma in ogni modo aveva il diritto di aspettarsi un po' più di considerazione almeno da parte di suo marito, dato che bene o male era suo coniuge sacramentale, il suo autore, il suo legittimo pregiudicatore, che si era addossato per volontà libera e sovrana la grave responsabilità di toglierla dal focolare paterno, dove non si era mai privata né lamentata di nulla, dove intrecciava palme funebri per puro piacere di passatempo, dato che il suo padrino le aveva mandato una lettera e il sigillo del suo anello impresso nella ceralacca, solo per dirle che le mani della sua figlioccia non erano fatte per faccende di questo mondo, tranne che per suonare il clavicembalo e, tuttavia, quell'insensato di suo marito l'aveva tolta dalla sua casa con tutti gli ammonimenti e le raccomandazioni e l'aveva portata in quella bolgia infernale dove non si poteva respirare dal caldo, e prima ancora che lei avesse finito di osservare le sue diete di Pentecoste se n'era già andato, coi suoi bauli transumanti e la sua fisarmonica da giramondo, in un luogo di adulterio, con una disgraziata alla quale bastava guardare le chiappe, be', ormai le era scappata, alla quale bastava vedere come dimenava le chiappe da giumenta per capire subito che era una, che era una, tutto il contrario di lei, che era signora sia nel palazzo sia nello stabbiolo, sia a tavola sia a letto, signora di nascita, timorosa di Dio, ubbidiente alle sue leggi e sottomessa ai suoi disegni, e con la quale non poteva fare, naturalmente, le smorfie e i saltimortali che faceva con l'altra, che naturalmente si prestava a tutto, come le matrone francesi, e ancora peggio, a pensarci bene, perché quelle almeno avevano l'onestà di mettere una lanterna rossa sulla porta, porcherie simili, immaginarsi, non mancava altro, con la figlia unica e beneamata di donna Renata Argote e di don Fernando del Carpio, e soprattutto di questo, naturalmente, un santuomo, un cristiano di grandi meriti, Cavaliere dell'Ordine di Santo Sepolcro, di quelli che ricevono direttamente da Dio il privilegio di mantenersi intatti nella tomba, con la pelle tesa come raso di sposa e con gli occhi vivi e diafani come smeraldi.
mercoledì 13 maggio 2009
sabato 2 maggio 2009
lunedì 27 aprile 2009
Macondo - prima parte
Gli avvenimenti che avrebbero dato il colpo mortale a Macondo cominciarono a intravedersi quando portarono nella casa il figlio di Meme Buendia. La situazione pubblica era in quei tempi così incerta, che nessuno aveva l'animo disposto ad occuparsi di scandali privati, sicché Fernanda poté approfittare di un ambiente propizio per mantenere il bambino nascosto come se non fosse mai esistito. Dovette accettarlo, perché le circostanze in cui glielo portarono non resero possibile un rifiuto. Dovette sopportarlo contro la sua volontà per il resto della sua vita, perché nell'ora della verità le era mancato il coraggio di compiere l'intima determinazione di affogarlo nella cisterna del bagno. Lo chiuse nell'antico laboratorio del Colonnello Aureliano Buendia. Riuscì a convincere Santa Sofia de la Piedad di averlo trovato che galleggiava in un cestino. Ursula sarebbe morta senza conoscere la sua origine. La piccola Amaranta Ursula, che una volta era entrata in laboratorio mentre Fernanda stava alimentando il bambino, credette anche lei alla versione del cestino galleggiante. Aureliano Secondo, definitivamente staccato da sua moglie per il modo irrazionale col quale questa aveva trattato la tragedia di Meme, non seppe dell'esistenza del nipote fino a tre anni dopo che glielo avevano portato in casa, quando il bambino scappò dalla sua prigione per una disattenzione di Fernanda, e si affacciò sul portico per una frazione di secondo, nudo e coi capelli arruffati e con un impressionante sesso da barbiglio di tacchino, come se non fosse una creatura umana bensì la definizione enciclopedica di un antropofago.
Fernanda non aveva fatto i calcoli su quel tiro birbone del suo incorreggibile destino. Il bambino fu come il ritorno di una vergogna che lei credeva di aver esiliato per sempre dalla casa. Si erano appena portati via Mauricio Babilonia con la spina dorsale spezzata, e già Fernanda aveva stabilito fino al particolare più insignificante il piano destinato ad eliminare ogni vestigio dell'obbrobrio. Senza consultare suo marito, fece il giorno dopo i suoi bagagli, mise in una valigetta i tre ricambi di cui sua figlia poteva aver bisogno, e andò a cercarla nella stanza mezz'ora prima dell'arrivo del treno.
« Andiamo, Renata » le disse.
Non le diede alcuna spiegazione. Meme, da parte sua, non se l'aspettava né la voleva. Non soltanto ignorava dove erano dirette, ma a lei non sarebbe importato nemmeno se l'avessero condotta al macello. Non aveva più parlato, né avrebbe più fatto per il resto della vita, da quando aveva sentito lo sparo in fondo al patio e il simultaneo urlo di dolore di Mauricio Babilonia. Quando sua madre le ordinò di uscire dalla stanza, non si lavò né si pettinò, e salì sul treno come una sonnambula senza nemmeno notare le farfalle gialle che continuavano ad accompagnarla. Fernanda non seppe mai, né si prese il disturbo di indagare, se suo silenzio ermetico era una decisione della sua volontà,o se fosse rimasta muta per il colpo della tragedia. Meme si rese appena conto del viaggio attraverso la regione incantata. Non vide le ombrose e interminabili piantagioni di banano ai due lati del percorso. Non vide le case bianche dei gringos, né i loro giardini inariditi dalla polvere e dal caldo, né le donne in pantaloncini e camicie a righe azzurre che giocavano a carte sotto i portici. Non vide i carri di buoi carichi di caschi sui sentieri polverosi. Non vide le ragazze che saltavano come pesci nei fiumi trasparenti per lasciare nei passeggeri del treno l'amarezza dei loro seni splendidi, né le baracche multicolori e miserevoli dei lavoratori dove svolazzavano le farfalle gialle di Mauricio Babilonia, e sulle cui soglie c'erano bambini verdi e squallidi seduti sui loro pitalini, e donne gravide che lanciavano improperi al passaggio del treno. Quella visione fugace che per lei era una festa quando tornava dal collegio, passò nel cuore di Meme senza farlo fremere. Non guardò dal finestrino nemmeno quando terminò l'umidità ardente delle piantagioni, e il treno passò per la pianura di papaveri dove c'era ancora il corbame carbonizzato del galeone spagnolo, e uscì poi verso la stessa aria diafana e lo stesso mare spumoso e sudicio dove quasi un secolo prima si erano arenate le illusioni dì José Arcadio Buendia.
mercoledì 15 aprile 2009
sabato 4 aprile 2009
martedì 24 marzo 2009
venerdì 6 marzo 2009
lunedì 23 febbraio 2009
sabato 14 febbraio 2009
La Gelmini manda a casa chi la contraddice... o da chi avrà imparato?
Finora a bocciare il ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini e la sua riforma della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, erano stati soltanto i sindacati e l’opposizione. Ora invece è arrivata una bocciatura anche da parte del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, organo dello stesso Ministero, che liquida il Regolamento con alcuni giudizi molto severi: «non coerente» con l’autonomia scolastica, «compromette l’efficacia dell’offerta formativa», «non garantisce pari opportunità di offerta e di scelta sull’intero territorio nazionale» e renderà difficile soddisfare le aspettative delle famiglie sui tempi offerti dalle singole scuole. Detto in altre parole: mamme e papà potrete dire addio al tempo pieno. A meno di miracoli come l’improvviso arrivo di finanziamenti straordinari. Dal ministero rispondono al giudizio del Consiglio ricordando che «il Cnpi è un organo con funzioni meramente consultive, e che comunque mai ha accolto con favore una riforma scolastica perché è un organo conservatore, teso a difendere lo status quo». E, quindi, aggiungono, «bisognerà rivedere la sua composizione, riformarlo in modo da rendere meno politico e sindacale il suo contributo, aumentando invece il carattere tecnico dei suoi pareri». Il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, infatti, è un organo nato nel 1974. Ha come funzione quella di fornire una consulenza tecnico-professionale al ministro, a volte su richiesta del ministro, altre volte perché obbligato a farlo. Presidente è lo stesso ministro della Pubblica Istruzione, ed è composto da 74 consiglieri, la maggior parte eletti dalle varie categorie del personale scolastico. Il 17 novembre scorso i consiglieri avevano già espresso «fermo dissenso e viva preoccupazione sulle scelte operate» dal ministro Gelmini in materia di maestro unico e orario di 24 ore settimanali, che avrebbero provocato - denunciavano i consiglieri del ministro - «una destrutturazione del sistema scolastico pubblico ed una netta riduzione quantitativa e qualitativa dell’offerta formativa». E quindi avevano chiesto «una profonda revisione dei provvedimenti adottati» ed un coinvolgimento nelle future decisioni. Il 29 dicembre il ministro accetta, almeno in parte, le loro richieste. Invia al Consiglio una nota con il Regolamento approvato e chiede il loro parere. Il parere arriva un mese e mezzo dopo, il 12 febbraio, ed è una bocciatura a 360 gradi dei provvedimenti del ministro dell’Istruzione. Bocciato «l’azzeramento delle compresenze e di fatto di tutte le forme di utilizzo del personale docente in compiti diversi dall’insegnamento frontale» che «influisce pesantemente sulla qualità dell’offerta formativa» e «induce a ricercare risorse compensative esterne», e quindi gli studenti avranno insegnanti sempre meno garantiti e non necessariamente adeguati alle discipline da insegnare. Bocciata l’introduzione dei cambiamenti anche dalle classi successive alla prima «non tenendo conto delle scelte organizzative e didattiche della scuola, delle scelte già operate dalle famiglie, della prassi consolidata di una graduale implementazione di modifiche ordinamentali». Il modello delle 24 ore settimanali «diventa, da subito, il modello della suola pubblica. In tal modo si rendono residuali gli altri modelli». E, quindi, i consiglieri conludono la loro relazione rilevando che sui tempi scuola il Regolamento «possa alimentare nelle famiglie aspettative che, in assenza di congrue e correlate risorse, potranno difficilmente essere soddisfatte, mettendo la scuola nella difficile situazione di dover riorientare le scelte e riorganizzare l’offerta».
Flavia Amabile, La Stampa, 14/02/2009
martedì 10 febbraio 2009
domenica 8 febbraio 2009
Eugenio Scalfari
Un'occasione perfetta per una politica che poggia sul populismo, sul carisma, sull'appello alle pulsioni elementari e all'emotività plebiscitaria. Qui c'è la difesa di una vita, la commozione, il pianto delle suore, l'anatema dei vescovi e dei cardinali, i disabili portati in processione, le grida delle madri. Da una parte. E dall'altra i "volontari della morte", i medici disumani che staccano il sondino, gli atei che applaudono, i giudici che si trincerano dietro gli articoli del codice e il presidente della Repubblica che rifiuta la propria firma per difendere quel pezzo di carta che si chiama Costituzione. Quale migliore occasione di questa per dare la spallata all'odiato Stato di diritto e alla divisione dei poteri così inutilmente ingombrante? Non ha esitato davanti a nulla e non ha lesinato le parole il primo attore di questa messa in scena. Ha detto che Eluana era ancora talmente vitale che avrebbe potuto financo partorire se fosse stata inseminata. Ha detto che la famiglia potrebbe restituirla alle suore di Lecco se non vuole sottoporsi alle spese necessarie per tenerla in vita. Ha detto che i suoi sentimenti di padre venivano prima degli articoli della Costituzione. E infine la frase più oscena: se Napolitano avesse rifiutato la firma al decreto Eluana sarebbe morta. Eluana scelta dunque come grimaldello per scardinare le garanzie democratiche e radunare in una sola mano il potere esecutivo e quello legislativo mentre con l'altra si mette la museruola alla magistratura inquirente e a quella giudicante. Questo è lo spettacolo andato in scena venerdì. Uno spettacolo che è soltanto il principio e che ci riporta ad antichi fantasmi che speravamo di non incontrare mai più sulla nostra strada. Ci sono altri due obiettivi che l'uso spregiudicato del caso Englaro ha consentito a Berlusconi di realizzare. Il primo consiste nella saldatura politica con la gerarchia vaticana; il secondo è d'aver relegato in secondo piano, almeno per qualche giorno, la crisi economica che si aggrava ogni giorno di più e alla quale il governo non è in grado di opporre alcuna valida strategia di contrasto. Dopo tanto parlare di provvedimenti efficaci, il governo ha mobilitato 2 miliardi da aggiungere ai 5 di qualche settimana fa. In tutto mezzo punto di Pil, una cifra ridicola di fronte ad una recessione che sta falciando le imprese, l'occupazione, il reddito, mentre aumentano la pressione fiscale, il deficit e il debito pubblico. Di fronte ad un'economia sempre più ansimante, oscurare mediaticamente per qualche giorno l'attenzione del pubblico depistandola verso quanto accade dietro il portone della clinica "La Quiete" dà un po' di respiro ad un governo che naviga a vista. Quando crisi ingovernabili si verificano, i governi cercano di scaricare le tensioni sociali su nemici immaginari. In questo caso ce ne sono due: la Costituzione da abbattere, gli immigrati da colpire "con cattiveria". Il Vaticano si oppone a quella "cattiveria" ma ciò che realmente gli sta a cuore è mantenere ed estendere il suo controllo sui temi della vita e della morte riaffermando la superiorità della legge naturale e divina sulle leggi dello Stato con tutto ciò che ne consegue. Le parole della gerarchia, che non ha lesinato i complimenti al governo ed ha platealmente manifestato delusione e disapprovazione nei confronti del capo dello Stato ricordano più i rapporti di protettorato che quelli tra due entità sovrane e indipendenti nelle proprie sfere di competenza. Anche su questo terreno è in atto una controriforma che ci porterà lontani dall'Occidente multiculturale e democratico. Nel suo articolo di ieri, che condivido fin nelle virgole, Ezio Mauro ravvisa tonalità bonapartiste nella visione politica del berlusconismo. Ha ragione, quelle somiglianze ci sono per quanto riguarda la pulsione dittatoriale, con le debite differenze tra i personaggi e il loro spessore storico. Ci sono altre somiglianze più nostrane che saltano agli occhi. Mi viene in mente il discorso alla Camera di Benito Mussolini del 3 gennaio 1925, cui seguirono a breve distanza lo scioglimento dei partiti, l'instaurazione del partito unico, la sua identificazione con il governo e con lo Stato, il controllo diretto sulla stampa. Quel discorso segnò la fine della democrazia parlamentare, già molto deperita, la fine del liberalismo, la fine dello Stato di diritto e della separazione dei poteri costituzionali. Nei primi due anni dopo la marcia su Roma, Mussolini aveva conservato una democrazia allo stato larvale. Nel novembre del '22, nel suo primo discorso da presidente del Consiglio, aveva esordito con la frase entrata poi nella storia parlamentare: "Avrei potuto fare di quest'aula sorda e grigia un bivacco di manipoli". Passarono due anni e non ci fu neppure bisogno del bivacco di manipoli: la Camera fu abolita e ritornò vent'anni dopo sulle rovine del fascismo e della guerra. In quel passaggio del 3 gennaio '25 dalla democrazia agonizzante alla dittatura mussoliniana, gli intellettuali ebbero una funzione importante. Alcuni (pochi) resistettero con intransigenza; altri (molti) si misero a disposizione. Dapprima si attestarono su un attendismo apparentemente neutrale, ma nel breve volgere di qualche mese si intrupparono senza riserve. Vedo preoccupanti analogie. E vedo titubanze e cautele a riconoscere le cose per quello che sono nella realtà. A me pare che sperare nel "rinsavimento" sia ormai un vano esercizio ed una svanita illusione. Sui problemi della sicurezza e della giustizia la divaricazione tra la maggioranza e le opposizioni è ormai incolmabile. Sulla riforma della Costituzione il territorio è stato bruciato l'altro ieri. E tutto è sciaguratamente avvenuto sul "corpo ideologico" di Eluana Englaro. Non ci poteva essere uno scempio più atroce.