domenica 29 gennaio 2012

UN INCONTRO AL CENACOLO


Io e Gef a tavola il più delle volte parliamo di cibo e del tempo; del resto è come deve essere, essendo io italiano e lui inglese. E' tradizione.

A Gef piacciono le minestre e i primi piatti di brodo, creme e potages, dice che lo riscaldano, patisce molto il freddo, e si irrita anche un pochino se il piatto è freddo e non viene messo a scaldare prima che vi si versi la pietanza; non lo dà a vedere perchè è fatto così, ma io lo so, lo percepisco ugualmente, dopo tutti questi anni.

Gef è un tipo curioso, mi si dirà: chi non lo è, ma lui è curioso forte... Ha tutti gli atteggiamenti tipici dell'inglese della buona borghesia di un tempo fatti di rigorosa formalità, approcci cordiali, perseveranza e ostinatezza, soprattutto nel portare avanti le proprie idee, un pizzico di razzismo, e, pensate un po', rispetto e amore per la sovrana alla quale è stato presentato prima del suo amico Philip al termine di uno spettacolo con il Royal Ballet.

Quando non ha più argomenti di difesa, e con Philip è difficile che la spunti, tira fuori questo episodio. Discutono così e così terminano, con leggerezza e allegria, con la soddisfazione di uno nella logica e dell'altro nella simpatia. E mi fanno tanto ridere e stare bene.

Nelle sere d'inverno, quando fa appena freddo ma per Gef si gela, tanto che il suo posto è quello più prossimo al radiatore, se non parliamo del cibo e del tempo possiamo anche stare a lungo in silenzio, la compagnia ci basta e la confidenza ce lo consente.

A volte accendiamo la televisione, ma a me non piace e non mi interessa la politica, argomento che lo appassiona e lo agita tanto da farlo sembrare molto più italiano... Altre volte scelgo di ascoltare la musica ma anche qui non ci troviamo molto poichè io non arrivo oltre la seconda metà dell'ottocento mentre lui ha passione per Ravel, Debussy e Stravinsky...

Parliamo quindi del cibo e del tempo... Di una giornata di pioggia trascorsa dietro gli enormi vetri della sua terrazza o di come il bel tempo gli abbia permesso di fare una passeggiata in spiaggia. Ed io lo ascolto. Parliamo di come si cucina il brasato con il vino del Piemonte, di quanto deve essere morbida la chantilly in un dolce piuttosto che in un altro. E lui mi ascolta.

Meno spesso, e per questo mi sorprende sempre molto, e mi fa pensare e sognare, racconta episodi del suo passato in cui compaiono i suoi amici più cari, i suoi compagni di danza, i suoi maestri. Ecco che in casa mia fanno visita Eric, Rudolf e Margot, Sir Anthony, Natalia, Rupert e tanti altri con storie di vita affascinanti, narrate però nei piccoli momenti del quotidiano, in quegli attimi che sono pieni di magia ma che sono rimasti solo nel cuore di chi li ha vissuti ed appassionano chi ha la fortuna di ascoltarne il racconto.

Come quel giorno di pioggia e di umido, tanto stagnante che le ossa si fanno presto sature, che solo chi vive o ha vissuto a lungo a Milano può averne esperienza, quel giorno di riposo, un lunedì, tanto sospirato dal momento che si facevano in quegli anni anche sette spettacoli a settimana, sabato o domenica doppio, e non si vedeva l'ora di uscire dalle mura del teatro e riposare le membra esauste. Quel giorno fu uggioso e per questo decise di andare a vedere dove si trova il celebre Cenacolo di Leonardo. In tutti gli anni di frequentazione della Scala, non aver visto l'affresco lo fece vergognare un po'. Uscì dall'albergo, e decise di camminare fino a Santa Maria delle Grazie; molto insolito per un taxi-dipendente come lui. Amò però quell'atmosfera, quel cielo pesante, quell'aria ferma. In corso Europa pensò addirittura di evitare Vittorio Emanuele nonostante il loggiato, prese corso Matteotti e camminando sotto quella pioggerellina sbucò da palazzo Marino in piazza Scala e si accorse di non avere le idee chiare di come raggiungere la meta. Si incamminò evitando via Filodrammatici, in Cordusio gli piacque via Meravigli e la seguì, sapeva di dover arrivare in corso Magenta e la sua determinazione fu premiata. Non capiva come mai la piazza davanti all'ingresso fosse deserta, non visitava mai i musei per il solo fatto di dover fare la fila e incontrare sconosciuti. Si arrabbiò con gli italiani perchè un tale capolavoro non poteva restare senza ammiratori nemmeno un minuto, lo trovò assurdo. Pagò il biglietto ad un assonnato dipendente con uno strano accento, siciliano, mi disse, visto che tutti gli accenti da Roma in giù per lui sono siciliani, ed entrò. Che strana sensazione di benessere cominciò a provare! Una vera e propria magia, quel silenzio, con un calore che gli ritemprò il fisico. Guardava l'affresco e, pur percependo tutta la dinamica della scena, con gli apostoli in agitazione, le voci da dentro che dicevano di stupore e curiosità, sentiva solo quiete e agio. Come se fosse sempre stato lì negli ultimi tempi, come se non fosse la prima volta, non più vergogna, non più rabbia. Si stupì di quanto stava provando, e non riusciva a spiegarne i motivi. Aveva sempre sentito raccontare del turbamento percepito dai visitatori al cospetto dell'Ultima cena e lui stesso ne riconosceva la presenza, ma non capiva il perchè fosse sopita da un più forte senso di quiete, lenita da un'aura di pace che sovrastava tutta la potenza dell'arte del luogo. Cercando di capire, non si rese conto di non essere solo all'interno del cenacolo. Cominciò ad accorgersi di quella presenza, una figura femminile, vestita di bianco, con una sciarpa di seta e i neri capelli sciolti lungo la schiena. Capì che era per quella presenza che tutto risultava alterato e che alla magia dell'opera d'arte si era aggiunta la magia di una donna d'arte, il cui potere su di lui era più forte ancora di quello secolare del tratto di Leonardo. Quando cominciò a guardarla, lei era di spalle e si avviava all'uscita nel più totale silenzio, come sospesa. Prima di imboccarla si voltò e gli sorrise, e tutto si fece chiaro, ovvio perfino. Era Margot.

Un lunedì, la pioggia, due inglesi, da soli, l’Ultima cena.

Così passo alcune sere, in inverno, tra due parole sul cibo e sul tempo. Con Gef che porta nella mia vita persone la cui arte riprende forma, anche se solo fra le mura di casa, grazie ai suoi racconti ammalianti, fra gesti e parole di quotidianità. Finora non ho mai avuto la capacità di commentarli, li accetto come regali preziosissimi e li custodisco con cura. E per ringraziarlo mi alzo e gli chiedo: - Geffrino ti faccio il caffè? -Oh grazie - fa sempre lui e si alza emettendo il suo gemito di dolore per le articolazioni da ballerino, si siede al suo posto sul divano e comincia a litigare con i politici che vede in tv.

sabato 7 gennaio 2012

Amsterdam 2012

L.A.: romantisch...