lunedì 23 febbraio 2009

Carnaval Sitges 2009

Sara... una ne fai e cento ne pensi...

sabato 14 febbraio 2009

La Gelmini manda a casa chi la contraddice... o da chi avrà imparato?

Gelmini bocciata dai consiglieri

Finora a bocciare il ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini e la sua riforma della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, erano stati soltanto i sindacati e l’opposizione. Ora invece è arrivata una bocciatura anche da parte del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, organo dello stesso Ministero, che liquida il Regolamento con alcuni giudizi molto severi: «non coerente» con l’autonomia scolastica, «compromette l’efficacia dell’offerta formativa», «non garantisce pari opportunità di offerta e di scelta sull’intero territorio nazionale» e renderà difficile soddisfare le aspettative delle famiglie sui tempi offerti dalle singole scuole. Detto in altre parole: mamme e papà potrete dire addio al tempo pieno. A meno di miracoli come l’improvviso arrivo di finanziamenti straordinari. Dal ministero rispondono al giudizio del Consiglio ricordando che «il Cnpi è un organo con funzioni meramente consultive, e che comunque mai ha accolto con favore una riforma scolastica perché è un organo conservatore, teso a difendere lo status quo». E, quindi, aggiungono, «bisognerà rivedere la sua composizione, riformarlo in modo da rendere meno politico e sindacale il suo contributo, aumentando invece il carattere tecnico dei suoi pareri». Il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, infatti, è un organo nato nel 1974. Ha come funzione quella di fornire una consulenza tecnico-professionale al ministro, a volte su richiesta del ministro, altre volte perché obbligato a farlo. Presidente è lo stesso ministro della Pubblica Istruzione, ed è composto da 74 consiglieri, la maggior parte eletti dalle varie categorie del personale scolastico. Il 17 novembre scorso i consiglieri avevano già espresso «fermo dissenso e viva preoccupazione sulle scelte operate» dal ministro Gelmini in materia di maestro unico e orario di 24 ore settimanali, che avrebbero provocato - denunciavano i consiglieri del ministro - «una destrutturazione del sistema scolastico pubblico ed una netta riduzione quantitativa e qualitativa dell’offerta formativa». E quindi avevano chiesto «una profonda revisione dei provvedimenti adottati» ed un coinvolgimento nelle future decisioni. Il 29 dicembre il ministro accetta, almeno in parte, le loro richieste. Invia al Consiglio una nota con il Regolamento approvato e chiede il loro parere. Il parere arriva un mese e mezzo dopo, il 12 febbraio, ed è una bocciatura a 360 gradi dei provvedimenti del ministro dell’Istruzione. Bocciato «l’azzeramento delle compresenze e di fatto di tutte le forme di utilizzo del personale docente in compiti diversi dall’insegnamento frontale» che «influisce pesantemente sulla qualità dell’offerta formativa» e «induce a ricercare risorse compensative esterne», e quindi gli studenti avranno insegnanti sempre meno garantiti e non necessariamente adeguati alle discipline da insegnare. Bocciata l’introduzione dei cambiamenti anche dalle classi successive alla prima «non tenendo conto delle scelte organizzative e didattiche della scuola, delle scelte già operate dalle famiglie, della prassi consolidata di una graduale implementazione di modifiche ordinamentali». Il modello delle 24 ore settimanali «diventa, da subito, il modello della suola pubblica. In tal modo si rendono residuali gli altri modelli». E, quindi, i consiglieri conludono la loro relazione rilevando che sui tempi scuola il Regolamento «possa alimentare nelle famiglie aspettative che, in assenza di congrue e correlate risorse, potranno difficilmente essere soddisfatte, mettendo la scuola nella difficile situazione di dover riorientare le scelte e riorganizzare l’offerta».

Flavia Amabile, La Stampa, 14/02/2009

martedì 10 febbraio 2009

domenica 8 febbraio 2009

Eugenio Scalfari

Non poteva esserci scempio più atroce

IL CASO ENGLARO appassiona molto la gente poiché pone a ciascuno di noi i problemi della vita e della morte in un modo nuovo, connesso all'evolversi delle tecnologie. Interpella la libertà di scelta di ogni persona e i modi di renderla esplicita ed esecutiva. Coinvolge i comportamenti privati e le strutture pubbliche in una società sempre più multiculturale. Quindi impone una normativa per quanto riguarda il futuro che garantisca la certezza di quella scelta e ne rispetti l'attuazione. Ma il caso Englaro è stato derubricato l'altro ieri da simbolo di umana sofferenza e affettuosa pietà ad occasione politica utilizzabile e utilizzata da Silvio Berlusconi e dal governo da lui presieduto per raggiungere altri obiettivi che nulla hanno a che vedere con la pietà e con la sofferenza. Non ci poteva essere operazione più spregiudicata e più lucidamente perseguita. Condotta in pubblico davanti alle televisioni in una conferenza stampa del premier circondato dai suoi ministri sotto gli occhi di milioni di spettatori. Non stiamo ricostruendo una verità nascosta, un retroscena nebuloso, una opinabile interpretazione. Il capo del governo è stato chiarissimo e le sue parole non lasciano adito a dubbi. Ha detto che "al di là dell'obbligo morale di salvare una vita" egli sente "il dovere di governare con la stessa incisività e rapidità che è assicurata ai governanti degli altri paesi". Gli strumenti necessari per realizzare quest'obiettivo indispensabile sono "la decretazione d'urgenza e il voto di fiducia"; ma poiché l'attuale Costituzione semina di ostacoli l'uso sistematico di tali strumenti, lui "chiederà al popolo di cambiare la Costituzione". La crisi economica rende ancor più indispensabile questo cambiamento che dovrà avvenire quanto prima. Non ci poteva essere una spiegazione più chiara di questa. Del resto non è la prima volta che Berlusconi manifesta la sua concezione della politica e indica le prossime tappe del suo personale percorso; finora si trattava però di ipotesi vagheggiate ma consegnate ad un futuro senza precise scadenze. Il caso Englaro gli ha offerto l'occasione che cercava.


Un'occasione perfetta per una politica che poggia sul populismo, sul carisma, sull'appello alle pulsioni elementari e all'emotività plebiscitaria. Qui c'è la difesa di una vita, la commozione, il pianto delle suore, l'anatema dei vescovi e dei cardinali, i disabili portati in processione, le grida delle madri. Da una parte. E dall'altra i "volontari della morte", i medici disumani che staccano il sondino, gli atei che applaudono, i giudici che si trincerano dietro gli articoli del codice e il presidente della Repubblica che rifiuta la propria firma per difendere quel pezzo di carta che si chiama Costituzione. Quale migliore occasione di questa per dare la spallata all'odiato Stato di diritto e alla divisione dei poteri così inutilmente ingombrante? Non ha esitato davanti a nulla e non ha lesinato le parole il primo attore di questa messa in scena. Ha detto che Eluana era ancora talmente vitale che avrebbe potuto financo partorire se fosse stata inseminata. Ha detto che la famiglia potrebbe restituirla alle suore di Lecco se non vuole sottoporsi alle spese necessarie per tenerla in vita. Ha detto che i suoi sentimenti di padre venivano prima degli articoli della Costituzione. E infine la frase più oscena: se Napolitano avesse rifiutato la firma al decreto Eluana sarebbe morta. Eluana scelta dunque come grimaldello per scardinare le garanzie democratiche e radunare in una sola mano il potere esecutivo e quello legislativo mentre con l'altra si mette la museruola alla magistratura inquirente e a quella giudicante. Questo è lo spettacolo andato in scena venerdì. Uno spettacolo che è soltanto il principio e che ci riporta ad antichi fantasmi che speravamo di non incontrare mai più sulla nostra strada. Ci sono altri due obiettivi che l'uso spregiudicato del caso Englaro ha consentito a Berlusconi di realizzare. Il primo consiste nella saldatura politica con la gerarchia vaticana; il secondo è d'aver relegato in secondo piano, almeno per qualche giorno, la crisi economica che si aggrava ogni giorno di più e alla quale il governo non è in grado di opporre alcuna valida strategia di contrasto. Dopo tanto parlare di provvedimenti efficaci, il governo ha mobilitato 2 miliardi da aggiungere ai 5 di qualche settimana fa. In tutto mezzo punto di Pil, una cifra ridicola di fronte ad una recessione che sta falciando le imprese, l'occupazione, il reddito, mentre aumentano la pressione fiscale, il deficit e il debito pubblico. Di fronte ad un'economia sempre più ansimante, oscurare mediaticamente per qualche giorno l'attenzione del pubblico depistandola verso quanto accade dietro il portone della clinica "La Quiete" dà un po' di respiro ad un governo che naviga a vista. Quando crisi ingovernabili si verificano, i governi cercano di scaricare le tensioni sociali su nemici immaginari. In questo caso ce ne sono due: la Costituzione da abbattere, gli immigrati da colpire "con cattiveria". Il Vaticano si oppone a quella "cattiveria" ma ciò che realmente gli sta a cuore è mantenere ed estendere il suo controllo sui temi della vita e della morte riaffermando la superiorità della legge naturale e divina sulle leggi dello Stato con tutto ciò che ne consegue. Le parole della gerarchia, che non ha lesinato i complimenti al governo ed ha platealmente manifestato delusione e disapprovazione nei confronti del capo dello Stato ricordano più i rapporti di protettorato che quelli tra due entità sovrane e indipendenti nelle proprie sfere di competenza. Anche su questo terreno è in atto una controriforma che ci porterà lontani dall'Occidente multiculturale e democratico. Nel suo articolo di ieri, che condivido fin nelle virgole, Ezio Mauro ravvisa tonalità bonapartiste nella visione politica del berlusconismo. Ha ragione, quelle somiglianze ci sono per quanto riguarda la pulsione dittatoriale, con le debite differenze tra i personaggi e il loro spessore storico. Ci sono altre somiglianze più nostrane che saltano agli occhi. Mi viene in mente il discorso alla Camera di Benito Mussolini del 3 gennaio 1925, cui seguirono a breve distanza lo scioglimento dei partiti, l'instaurazione del partito unico, la sua identificazione con il governo e con lo Stato, il controllo diretto sulla stampa. Quel discorso segnò la fine della democrazia parlamentare, già molto deperita, la fine del liberalismo, la fine dello Stato di diritto e della separazione dei poteri costituzionali. Nei primi due anni dopo la marcia su Roma, Mussolini aveva conservato una democrazia allo stato larvale. Nel novembre del '22, nel suo primo discorso da presidente del Consiglio, aveva esordito con la frase entrata poi nella storia parlamentare: "Avrei potuto fare di quest'aula sorda e grigia un bivacco di manipoli". Passarono due anni e non ci fu neppure bisogno del bivacco di manipoli: la Camera fu abolita e ritornò vent'anni dopo sulle rovine del fascismo e della guerra. In quel passaggio del 3 gennaio '25 dalla democrazia agonizzante alla dittatura mussoliniana, gli intellettuali ebbero una funzione importante. Alcuni (pochi) resistettero con intransigenza; altri (molti) si misero a disposizione. Dapprima si attestarono su un attendismo apparentemente neutrale, ma nel breve volgere di qualche mese si intrupparono senza riserve. Vedo preoccupanti analogie. E vedo titubanze e cautele a riconoscere le cose per quello che sono nella realtà. A me pare che sperare nel "rinsavimento" sia ormai un vano esercizio ed una svanita illusione. Sui problemi della sicurezza e della giustizia la divaricazione tra la maggioranza e le opposizioni è ormai incolmabile. Sulla riforma della Costituzione il territorio è stato bruciato l'altro ieri. E tutto è sciaguratamente avvenuto sul "corpo ideologico" di Eluana Englaro. Non ci poteva essere uno scempio più atroce.